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martedì 30 marzo 2010

Ricordando Claudio Rinaldi

L'UOMO CHE GUARDAVA “CASABLANCA”

Ero il suo primo badante. Qualche settimana prima la sclerosi multipla l'aveva inchiodato sul grande letto matrimoniale da dove non si è potuto più rialzare senza il mio aiuto. E lui era la mia prima esperienza sul suolo italiano, dopo aver fatto vent’anni l'insegnante nella scuola sovietica e quella moldava. Mi consideravo fieramente intellettuale. Lui lo era per davvero.

Lui, Claudio Rinaldi, ex-direttore dell’ Europeo, di Panorama e dell’Espresso, era una celebrità. In un italiano ottocentesco imparato in Moldavia dai romanzi di Verga gli parlavo del mio paese e della sua tormentata storia. “Il tuo tragico paese...” ribatteva Claudio. Diceva pure “la tua tragica minestra”, “il tragico pappagallo”. E metteva così, con quel suo perfetto distacco ironico, la storia del mio paese, la minestra ed il turpe oggetto di nome pappagallo sullo stesso piano: erano nozioni ugualmente “tragiche”. Per dare un barlume di nobile apparenza alla cultura del mio paese mi avventavo in dissertazioni etimologiche. “Ma tu lo sai che tante parole rumene derivano dai termini militari latini? Il rumeno “mire”(sposo) deriva da “miles”(soldato). “Turma”(greggio di pecore) viene dal “turma” latino, che era un contingente di soldati. Il verbo “a însura” (sposare) deriva dal “inuxorare”, prendere moglie. Ma ti rendi conto di quanto siamo parenti? No,Claudio non mi considerava per niente parente e freddava il mio entusiasmo etimologico a colpi di ironia.

Sul terreno della guerra siamo diventati quasi amici. I libri e i film di guerra furono la base della mia educazione sovietica. E a Claudio piaceva parlare della disfatta di Caporetto, imitava a meraviglia il modo con cui Mussolini coniava le parole dei suoi discorsi, citava Churchill: “Potevate scegliere fra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore e avrete la guerra!”. Hitler era uno scemo perché voleva spazi vitali in un’ epoca in cui era importante soltanto l'industria. Mussolini era un fesso che si buttava in avventure improvvisate. Gli piaceva ripetere “à la guerre comme à la guerre”. Lodava il valore dei russi. Ed io, grazie ad un atavico residuo di uomo e di soldato sovietico nascosto sotto le spoglie del cittadino moldavo, mi sentivo felice a sentirglielo dire.

La guerra in Iraq, scoppiata all’inizio del 2004, ci ha fatto azzuffare in modo teatrale. Io facevo l'antiamericano spietato e Claudio il “bushista”. “Ha fatto bene, Bush, a colpire Sadham, diceva, è così che il mondo va avanti, con guerre e sangue innocente versato in abbondanza.” “ D'accordo ,sì, ribattevo, pure io me ne infischio di quella razza inferiore dei musulmani, guarda però come bruciano gli oleodotti, i pozzi di petrolio, si stanno perdendo inestimabili tesori delle antiche civiltà”. “Bravo, ti preoccupi di più della natura e della cultura che della vita della gente!”. “Il tuo Bush è un oscurantista che crede in Dio, fallirà in Iraq come i russi in Afganistan”. “Macché, Bush è un tipo simpatico, hai visto che bella moglie, che figlie carine. E così Claudio difendeva l'America pur essendo uno che nei suoi articoli bocciava decisamente la guerra, ed io facevo l'antiamericano, pur amando i jeans, Marylin Monroe e Gettaway. Lui dell’America amava molto Bruce Springsteen. Come si può non amare un'America che canta così? Quando poi si è stufato di litigare con me sull’Iraq, Claudio è passato sulle mie posizioni e allora lo sentivo dire così: “I nostri oggi hanno fatto un bel colpo: dieci marines uccisi con un ordigno!” “Che bello! Facciamo un brindisi!”.

Non era di cattivo umore, nonostante la malattia inclemente. Quando si trattava di andare in campagna,lui diceva così:portiamo la salma in macchina. Continuava a lavorare e scriveva i suoi articoli a letto, sul palmare, finché non gli venivano i crampi alle dita. Parlava molto al telefono con gli amici, rideva spesso con molta vivacità. A volte si divertiva insegnandomi la saggezza popolare di proverbiacci maschilisti come: Basta che respirino; Ogni lasciata è persa; Comandare è meglio che fottere. Scherzava pure sulla sua professione, dicendo che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare. Usava spesso la parola maledizione, che esprimeva, in un certo modo, la sciagura che gli era capitata. Maledizione, qui c'è uno squallido quadrupede, diceva quando entrava Luna, la cagnetta di Carlo Caracciolo, seguita, un attimo dopo, dal suo amico, il Principe.

Era nemico, mediaticamente, di Berlusconi, ma riconosceva il genio politico del Cavaliere.
Mi raccontava della volta, tempi lontani, che Berlusconi gli aveva mandato a casa qualche cassa di bottiglie di vino e che lui voleva scaricare tutto nel water.

Raccontava la barzelletta di Umberto Eco su Berlusconi venditore di macchine usate. Dei “sinistrati” invece non aveva una grande opinione. Chi lo irritava di più era D'Alema.

Alle cose che un tempo aveva amato continuava ad aggrapparsi con un amore che sembrava a volte disperato. Amava il tennis e si dichiarò innamorato della russa Maria Sharapova. Gli piaceva vedere la sua grinta, sentire i gemiti che faceva quando colpiva la palla. Gli amici gli regalarono un quadro della sua amata in dimensione naturale. Pensavo si facesse così coraggio. Mi diceva di volerle scrivere una lettera, e voleva che io gliela traducessi in russo. Quasi odiava il padre della Sharapova, che seguiva sua figlia dappertutto come un’ombra. Quando morì George Best, mi disse con molta ammirazione le sue ormai celebri parole: “Ho speso un patrimonio per belle donne, macchine veloci e champagne. Il resto l'ho sperperato”.

Di tanto in tanto guardava “Casablanca”. Si emozionava... Non capivo che cosa lo attirasse in quel vecchio film che umiliava l'amore dinnanzi al dovere. Gli piacevano Ingrid Bergman e Humphrey Bogart...? C'entrava in qualche modo con la sua vita...? Non lo saprò mai. Maledizione.

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